Sciaccariata di Ferla

Sono tante le storie che identificano Ferla e che sono divenute un simbolo della cittadina nel mondo. Tra tutte però, la Sciaccariata richiama alla memoria il tempo felice e spensierato della mia infanzia, quando le feste religione, soprattutto per noi bambini, erano un motivo per riunirsi in famiglia.

La Sciaccariata si inserisce nel quadro della festa di Pasqua. Mio nonno mi racconta che tanto tempo fa, alla fine dell’Ottocento, in piazza Sant’Antonio non si teneva la festa di Pasqua poiché era appannaggio della chiesa di San Sebastiano.

Gli abitanti di Sant’Antonio però volevano che si tenesse qualche funzione anche nella loro chiesa, così il Vescovo e le autorità dell’epoca concessero le solennità legate al Venerdì Santo. I contadini, la gente del popolo pensarono di accompagnare Gesù Risorto con la luce, simbolo della Resurrezione, ma non avevano abbastanza mezzi per illuminare il sagrato e la parte circostante. Così presero ramoscelli di erba secca che trasformarono in tante luminose fiaccole. Le vie si animavano con il vociare dei bambini, con i canti e le sante preghiere della Pasqua.

La Sciaccariata avveniva sempre il Sabato Santo, nata come illuminazione naturale adesso è un momento di spiritualità e folklore conosciuto in tutto il mondo. Oggi la festa è molto più grandiosa rispetto a quella di secoli fa: appena giunge la sera tutte le campane suonano a festa, si accendono i giochi pirotecnici, le chiese sono illuminate.

La sera del sabato, accompagnata dalla banda musicale, la Madonna, abbigliata da un mento nero, viene portata in processione per le vie della cittadina. Maria, addolorata, cerca il Figlio, u Gesummaria. Poco dopo, Cristo Risorto viene portato in spalla da giovani devoti che corrono circondati da tantissime e suggestive fiaccole accese. La processione si svolge dalla chiesa di San Sebastiano fino ai Cappuccini.

Anche se è cambiata, la festa della Sciaccariata non ha perso il suo messaggio più intimo. Ricordo bene l’emozione di passare la notte insonne, insieme ai cugini e gli amici, per poi ammirare, il giorno seguente a mezzogiorno, il momento dell’incontro tra la Madonna, che lascia cadere il suo manto nero, e il Cristo Risorto. Era chiamato “U scontru”. Questo era il significato più intimo della Pasqua di Resurrezione. Ma la festa era anche un momento per andare tutti insieme a messa, per gustare i prodotti tipici locali (soprattutto ricotta calda) e per giocare spensierati. Un anno ho avuto la possibilità di salire nel bellissimo campanile di San Sebastiano e provare a suonare la grandiosa campana. Momenti memorabili.

Sono sicuro che fin quando i ragazzi saranno animati dall’amore per le tradizioni e per il loro territorio, la cultura continuerà a trionfare.

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