Nel corso dei miei anni dedicati agli studi e alle curiosità riguardanti il territorio di Sortino, mi sono imbattuto in tante piccole storie, ma in particolare ha destato la mia attenzione e il mio interesse quella di una grotta singolare e del suo creatore. Le notizie mi sono arrivate da due anziani che possiedono dei terreni confinanti tra loro e con la grotta in questione, soprannominata “a rutta”.
Si narra di un giovane che, nonostante non avesse condotto nessuno studio di natura scientifica, affidandosi solamente alla sua intelligenza e al suo ingegno, era riuscito a risolvere problemi che interessavano l’intera collettività in materia di convogliamento delle acque piovane e raccolta delle stesse, guadagnandosi così la stima della collettività e l’appellativo di “ngigneri”.
Fin da giovane aveva dato prova delle sue abilità, prima all’interno della sua famiglia, che da tempo gestiva un laboratorio per la concia delle pelli, poi a vantaggio di parenti e vicini, e infine per l’intera comunità. Già da bambino, il nonno lo incaricò di realizzare delle canalette interamente scolpite nella roccia per poter apportare delle migliorie sfruttando le caratteristiche specifiche della bottega.
La conceria consisteva in una serie di vasche quadriformi - realizzate sia con la tecnica dell’intaglio della roccia, sia in muratura - che venivano riempite e svuotate secondo le tecniche conosciute di concia e lavorazione delle pelli.
Con l’andare del tempo riuscì a perfezionare queste sue abitudini, trovandosi a fare spesso i conti con la morfologia delle rocce, creando con grandissimi risultati canalette sempre più perfette e affinando così il senso dello sfruttamento dei livelli e delle pendenze, per opere sempre migliori e di più grande portata. Con le sue capacità che si sviluppavano di giorno in giorno, riuscì a guadagnare la stima di tanti e, con le sue innovative soluzioni, riuscì anche a risolvere questioni che coinvolgevano più proprietari, placando spesso gli animi caldi dei sortinesi.
Ben presto la sua fama crebbe a tal punto da avere un incarico direttamente dal marchese Gaetani che consisteva nel risolvere la questione della canalizzazione delle acque provenienti dal pozzo di “Santa Suffia”.
Il giovane, forse ispirandosi al millenario Canale Galermi, ideò un canale che si introduceva all’interno della montagna, superando le difficoltà create dai filoni farinosi della calce e trovando la roccia ideale al passaggio delle acque, riuscendo così, con l’aiuto di diversi operai, a terminare gli scavi con somma meraviglia di tutta la popolazione e con il plauso del committente.
“A Rutta do ngigneri natu”, ovvero “la grotta dell’ingegnere nato”, è situata nella parte ovest della Costa Sortino, vicino al Giardino del Ruggio. La bocca della “Rutta” è esposta a sud, l’apertura orizzontale misura circa 15 metri, mentre l’apertura verticale varia dal metro ai 4 metri. La sua forma somiglia ad un occhio. Appena si entra, il terreno sottostante comincia a scendere con un’andatura morbida, il fondo di calpestio è composto da pietre e da terra accumulatisi nel corso del tempo per via degli agenti atmosferici o da bonifiche di vario genere effettuate da vicini e confinanti. Il fondo è solcato da leggeri rivoli di acqua, provenienti da scoli non voluti della “Saia San Giacomo” soprastante la bocca della “Rutta”, e da piccole pozzanghere di accumulo di queste acque.
Nella parte più interna si trova un canale, in gergo “saja”, che sorge dalla parete di sinistra e, seguendo un andamento sinuoso dettato dal fondo roccioso, si immette nelle viscere della roccia stessa. L’utilizzo della “Rutta do ngigneri natu” era prevalentemente quello di cava per l’estrazione della calce, ma, dopo l’abbandono, dovuto forse all’esaurimento della materia prima, fu usata come camera di controllo della “Saja San Giacomo” per assicurarsi che il deflusso delle acque fosse continuo e costante.
La “Saja San Giacomo” conclude la sua corsa ne “I Uttigghiuna”: ampie grotte con immense cisterne. L’acqua della “Saja” viene raccolta dalla non molto lontana fontana Santa Sofia fuori le mura, detta dal volgo “U Puzzu i Santasuffia”.
Testimoni oculari viventi raccontano che all’interno delle viscere della montagna, inoltrandosi lungo la saja, vi sono delle camere scavate nella roccia, adeguate e sistemate per potervi alloggiare. Per l’ossigeno vi sono dei fori nascosti allo sguardo dei più. Vi si accede da un cunicolo praticato nel soffitto del canale idrico, una scala di legno asportabile permetteva di inoltrarsi in questi ambienti bui e freddi che servivano a nascondere briganti e fuorilegge, sostenuti e coperti da terzi complici accondiscendenti.